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Oggi, nei luoghi di lavoro fra le persone, sia tra i lavoratori che tra gli imprenditori c’è paura.

Ora la paura di ammalarsi, dopo quella di perdere il lavoro. La paura è un sentimento umano ma se non viene mitigato rischia di sfociare in rabbia.

Molti di coloro che non lavorano in servizi essenziali finalmente stanno a casa ma per poterci stare hanno dovuto fare sciopero e questa non mi sembra una cosa normale in un Paese moderno. Rinunciare al salario per la salute è anomalo è contro natura. Ma i lavoratori lo hanno fatto. Adesso chi deve andare al lavoro per il bene e la salute di tutti lo deve fare in sicurezza assoluta. Le autorità e le imprese devono fornirgli tutti i DPI necessari.

Mi sarei aspettato un dibattito dai politici che governano il Paese o che siedono in Parlamento, sul perché al nord il contagio è così diffuso, forse perché le fabbriche non essenziali hanno continuato ad essere aperte? Invece questo non è avvenuto. E continua su questo un’imbarazzante silenzio anche davanti alle cifre dei morti e dei contagiati.

I lavoratori che ora sono a casa, quando passerà la paura vorranno tornare ovviamente a lavorare, perché con poco meno di 1000 € di cassa integrazione al mese non si vive bene. 1000 € che se si aspettano i tempi di erogazione INPS ci vuole anche qualche mese. Un dramma nel dramma.

Ma oggi il tema secondo me non è quando ripartire, lasciamo che a dirlo siano le autorità competenti, pensiamo piuttosto con quale modello di sviluppo lo faremo.

Credo che la nostra imprenditoria, almeno una parte, si dovrebbe rendere conto (ahimè dubito che lo farà) che la globalizzazione spinta ha portato ad esempio ad essere un Paese che deve importare tutto il materiale sanitario, importantissimo, adesso, dall’estero perché negli anni sono state delocalizzate le aziende (alcune sono anche di imprenditori fiorentini che conosciamo bene e che lavoravano anche nel settore sanitario). Questo vale per molti prodotti purtroppo.

Questo virus si è abbattuto in maniera davvero violenta e cattiva nei confronti della persone che per vivere devono lavorare, sui soggetti più deboli che vivono lo stare in casa in appartamenti piccoli condivisi con le proprie famiglie, in cui ci sono bambini che nemmeno possono uscire di casa. Appartamenti, spesso pagati con mutui ipotecari o affitti, in cui la garanzia dell’erogazione sta proprio nell’avere un lavoro, quindi figuriamoci se non è importante ripartire ma facciamo una riflessione complessiva, ripeto, sul tipo di sviluppo industriale ed economico come sistema Paese che vogliamo intraprendere, pensando anche alla nostra città e all’economia che l’ha determinata negli ultimi 20 anni.

Penso che dovremo fare questo partendo anche dalle città, in primis dalla nostra, Firenze, come ho avuto modo di scrivere in una lettera al Corriere Fiorentino lo scorso 10 marzo. Quello che abbiamo vissuto fino ad oggi, basato solo sulla rendita di pochi è sconfitto nei fatti. Il fallimento è sotto gli occhi di tutti. Quindi, quando ripartiremo lo diranno i medici, dire come farlo invece spetta alla politica, al sindacato e a tutto il gruppo dirigente del Paese.

Per quanto mi riguarda credo che ora dovremmo porsi la domanda di quale modello di sviluppo ci vogliamo dare per evitare gli errori del passato. Non è pensabile riaprire e basta, come se niente fosse successo.

Come ha detto il Papa: “Nessuno si salva da solo” (tanti anni fa lo diceva anche Berlinguer).

Io la penso così.

#andràtuttobene

 

Daniele Calosi, Segretario Generale Fiom Cgil Firenze

 

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