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Una leggenda narra che nel 1953 Giorgio La Pira, Sindaco di Firenze, riuscì a salvare il Pignone su sollecitazione della Madonna che gli apparve in sogno.

Poi c'è una storia, documentata dai fatti, che a distanza di tanti anni continua ad essere dimenticata, quasi nascosta. Quella degli operai che, grazie alla solidarietà di un'intera città, sconfissero con la loro lotta l'arroganza padronale di quei tempi.

Successe esattamente 70 anni fa al Pignone di Firenze.

Veniamo ai fatti.

Il 5 gennaio 1953 il colosso tessile Snia Viscosa, dal 1946 proprietario del Pignone, annunciò alla Commissione Interna (che oggi chiamiamo RSU) di voler sospendere 300 lavoratori e licenziarne 120. Costi di produzione troppo alti e ordinativi in calo provocavano un deficit di bilancio, queste le motivazioni della decisione. Iniziò così una lunga vertenza che vide coinvolti la proprietà, i lavoratori, i sindacati, le istituzioni e i cittadini di Firenze e provincia.

La vertenza si concluse tra il 5 e il 13 gennaio 1954 con l’acquisizione da parte di ENI dell’azienda fiorentina, a seguito dell'intervento del Sindaco La Pira e del Presidente della Provincia Mario Fabiani. Ebbene quello che in pochi sanno è come ci si arrivò.

Due settimane dopo l'annuncio partirono le prime lettere di licenziamento.

“In Via Perfetti Ricasoli rimasero senza lo stipendio del capofamiglia ben 28 famiglie e tutte in un colpo solo” racconta Mario Pieri, ai tempi saldatore elettrico.

La risposta dei lavoratori non si fece attendere: in poche settimane misero sù innumerevoli proteste, manifestazioni e un Comitato cittadino per salvare la fonderia.

Più di 150 riunioni del sindacato e del Pci furono convocate fino agli angoli della periferia, circolo per circolo, caseggiato per caseggiato, pur di informare sull'accaduto.

Il 2 marzo fu sciopero dell'intera giornata al Pignone e il 20 incrociarono le braccia gli operai di tutte le fabbriche metalmeccaniche del quartiere di Rifredi.

Il 25 marzo Franco Fantini, delegato Fiom, venne licenziato per un comizio tenuto durante un'assemblea del Pci.

In autunno crebbe il numero dei licenziamenti e il 20 ottobre la Snia comunicò l'imminente chiusura totale dello stabilimento e la messa in liquidazione della società licenziando di fatto 1.700 dipendenti.

Il 17 novembre la fabbrica venne occupata: il sindacato si fece imprenditore e portò avanti la produzione. Due giorni dopo ci fu lo sciopero generale fiorentino. Immediatamente scattò la solidarietà della gente, dei semplici cittadini, degli esercenti.

Chili d'olio furono offerti dai mezzadri di Pallaia, patate e fagioli da quelli del Valdarno, i facchini della Stazione di Campo di Marte dettero chili di pasta e fiaschi di vino, il sindacato panettieri fornì il pane per tutta l'occupazione, il lattaio di piazza Terzolle il latte per la colazione.

“Il macellaio che mi dava la carne l'ho pagato nove anni dopo, quando riuscii a mettere da parte qualcosa” racconta Pieri.

Dino Cialdi, direttore de La Colata, il giornale scritto e prodotto all'interno della fabbrica, ricorda: “Lo portavamo di casa in casa, stando ben attenti a non farci vedere dai dirigenti e dalla Polizia che aveva l'ordine di sequestrarlo perché conteneva informazioni che non dovevano trapelare all'esterno.”

Più di 12.000 persone tra operai, commercianti, contadini, cooperative e cittadini si mobilitarono per sostenere la protesta, anche per Natale tante persone portarono abiti e cibo agli operai.

È in questa fase che le istituzioni giocarono un ruolo importante.

La Pira, democristiano, e Fabiani, comunista, scelsero di sposare la posizione dei lavoratori e della Fiom. Tentarono di far cambiare idea alla proprietà ma questa fu irremovibile. Il Sindaco intervenne direttamente presso il governo e presso il Ministero degli Interni, retto all'epoca da Fanfani, scrisse al Presidente del Consiglio Giuseppe Pella e fece pressioni su Mattei, Presidente dell'Ente Nazionale Idrocarburi (ENI) affinché acquistasse il Pignone. Riuscì a convincerlo.

Mario Pieri sottolinea “Il ruolo della politica fu rilevante, ma quello degli operai non fu da meno: ogni mercoledì assieme ai compagni venivamo ricevuti dal Sindaco e conducemmo la battaglia assieme a lui”.

Il 5 gennaio 1954 fu fatto l'accordo. L'azienda passò all'Eni che prese l'impegno di riassumere 1.100 lavoratori seguendo i criteri concordati con i sindacati. Così nacque la Nuova Pignone - Industrie Meccaniche e Fonderia Spa.

Fu una vittoria, ma molti dei protagonisti della vertenza ne pagarono il prezzo. La nuova direzione violò subito i criteri concordati nell'accordo e i lavoratori furono riassunti discriminando pesantemente i sindacalisti della Fiom: tutti e 36 i membri del Comitato aziendale del Pci e 600 lavoratori iscritti alla Fiom, aderenti al Pci, al Psi e indipendenti che avevano contribuito in modo determinante alla salvezza del Pignone, restarono a casa.

Fantini disse: “Mattei mise da parte La Pira e fecero come vollero loro: un regime autoritario e anticomunista. Noi che si era salvata la fabbrica dai tedeschi, che si nascosero le macchine rischiando la deportazione, noi che nel dopoguerra, trasformati in falegnami, muratori, elettricisti, vetrai, si rimise in piedi lo stabilimento, noi che si sminò le gru per riprendere il lavoro, proprio noi pagammo il prezzo della sua nuova nascita e questo non si è mai voluto dire. È stata una vera e propria mattanza”.

Nel processo di riorganizzazione, infatti circa 650 operai non vennero riassunti e molti di questi erano iscritti alla Fiom Cgil. L'intervento fu talmente chirurgico che alle successive elezioni per la Commissione Interna la Fiom Cgil non riuscì neanche a presentare una propria lista in una fabbrica dove aveva sempre rappresentato in modo netto la maggioranza degli operai.

Questa è la verità e va detta. A Franco Fantini, a Dino Cialdi, a Mario Pieri e a tutti gli altri lavoratori, noi gliela dobbiamo. Perché se Firenze e il Pignone sono ancora un unico binomio nel tessuto economico e industriale della città e del Paese non lo si deve solo alla lungimiranza della classe politica dell'epoca, come Giorgio La Pira e Mario Fabiani (quest'ultimo troppo spesso dimenticato nel dibattito pubblico) ma soprattutto grazie al sacrificio e all'impegno di tutti quei lavoratori.

 

Daniele Calosi, Segretario Generale Fiom Cgil Firenze

 

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Firenze, 25 settembre 2023

 

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